Il senso della possibilità: ciò che può esistere, realizzarsi, avvenire. Oggi abbiamo davanti agli occhi una realtà estremamente ricca di opportunità con tutti gli strumenti che ci occorrono per realizzare i nostri desideri ma le pressioni del mondo moderno, le urgenze, il senso di profonda incertezza e il livello di complessità riducono paradossalmente il senso del possibile.
Oggi, infatti, si tende a considerare una “possibilità” solo in senso stretto e quindi con riferimento alle condizioni associate al verificarsi di un evento fisico, con il significato quindi di contingenza (il “se” congiunzione con valore ipotetico, che “liquidamente” sposta il traguardo della felicità verso il futuro). Ma esiste una “possibilità” in senso lato che attiene alla concepibilità delle cose, alla loro descrivibilità in forme non contraddittorie.
Cosicché come dice Musil il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe egualmente essere, e di non dare maggiore importanza a quello che è, rispetto a quello che non è.
Del resto gli uomini sanno che esiste un futuro, sanno dire “accadrà, succederà” e sanno far uso del congiuntivo e del condizionale quando si aprono alle ipotesi, ai progetti, all’immaginazione.
Ma l’uso del congiuntivo insieme al condizionale sembra voler scomparire; c’è una certa insofferenza verso di loro per cui siamo portati a considerare i frammenti di un discorso utopico, che ci invitano a esplorare lo spazio delle possibilità, entro i confini che il mondo ci concede, mentre in questo spazio elusivo e ospitale si abbozzano i lineamenti di modi di convivere e di vivere le nostre vite individuali e collettive; mondi possibili e vite congetturali esposte al mutamento e alla metamorfosi ed oggi avvolte dal flusso “liquido”.
Ora, prendendo sul serio il senso della possibilità, per come l’abbiamo definito, una società migliore resta una società che consente a tutti gli esseri umani di fare ciò che solo gli esseri umani possono fare: creare, inventare, immaginare altri mondi possibili. Questo tipo di esperienza porta a sentirsi spinti o attirati in direzioni diverse, sperimentare l’incertezza tra alternative che suscitano una varietà di pensieri, sentimenti, emozioni.
Papa Francesco afferma “La vita non è un quadro in bianco e nero: è un quadro a colori. Alcuni chiari e altri scuri, alcuni tenui altri vivaci. Ma comunque prevalgono le sfumature. Ed è questo lo spazio del discernimento”.
Vale dunque la pena provare a mettere a fuoco il significato di questo termine chiave che deriva dal latino “discernere”, composto da “dis”, separare, e “cernere”, scegliere.
Discernimento non significa “buon senso”, “capacità di giudizio assennato” affine alla virtù classica della prudenza, nella sua definizione più semplice il discernimento non è nulla di più che la capacità di distinguere la verità dall’errore, ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.
Il discernimento invece è il procedimento mediante il quale si operano attente distinzioni nel nostro pensiero al riguardo della verità. La sfida del discernimento è muoversi attraverso sentimenti e pensieri utilizzandoli come strumenti per identificare non quello che è sufficientemente buono, ma quello che è meglio.
I pensieri e i sentimenti possono infatti venire dal mondo, dall’ambiente, da noi stessi, dal demonio, come pure dallo Spirito Santo. È importante osservare quali sentimenti accompagnano certi pensieri, oppure da quali sentimenti nascono determinati pensieri; l’interazione tra pensieri e sentimenti è importante perché permette di vedere lo stato di adesione personale a Dio o alle realtà liquide che mi illudono e di fatto mi allontano da Dio. Il sentimento tradisce, cioè rivela la mia adesione o non adesione e le sue motivazioni.
L’osservazione dell’interazione tra pensiero e sentimento può avviare il processo di discernimento, da cui possono derivare indicazioni riguardo l’orientamento dell’uomo. Di fatti, è l’orientamento concreto della persona a determinare come essa percepisce i pensieri che le vengono, come d’altronde è a causa di un determinato orientamento che nascono in lei determinati pensieri.
L’attenzione all’interazione tra pensiero e sentimento giova anche perché aiuta a identificare il gusto dei pensieri della conoscenza stessa: tutti i grandi maestri spirituali parlano del gusto, del sapore della conoscenza, ed è esattamente questo il punto di arrivo del discernimento. Si tratta di arrivare a identificare dei gusti che accompagnano una conoscenza spirituale e dunque di esercitarsi nel far propria una memoria costante di tali sapori e gusti spirituali. Quando si acquisisce una certezza del gusto di Dio e dei pensieri che da Lui provengono e a Lui portano, siamo arrivati ad un atteggiamento costante di discernimento.
Il discernimento non è dunque un calcolo, una logica deduttiva, una tecnica, né una discussione, una ricerca della maggioranza, ma una preghiera rivolta all’ascesi costante della rinuncia del proprio volere. Per far questo è necessaria una radicale umiltà capace di portare a scelte concrete e all’accettazione del rischio della scelta.